venerdì 28 giugno 2013

L’UOMO D’ACCIAIO (Man of Steel) – di Zack Snyder

Reboot, l’ennesimo, dopo il mezzo flop del remake. Non un superuomo dunque ma più un uomo d’acciaio, spogliato di quella spavalderia che lo caratterizzava, un alieno sperduto in una terra aliena, in cui la differenza dai comuni mortali lo porta ad essere naturalmente temuto, tipo X-Man. Un Superman di sicuro più oscuro e silenzioso, senza la tipica tromba trionfale che lo introduce. Senza la sua tipica ironia che partiva già dalla sua scelta di indossare le “mutande” rosse sul costume. Un super eroe che dovrà quindi far un po' di pressione sul mondo per guadagnarsi la stima e la simpatia che il vecchio Superman si guadagnava già dalla prima inquadratura. Un eroe alla Amazing Spiderman, che dovrà prendere coscienza e familiarità dei suoi poteri e affrontare gli aspetti psicologici della sua diversità.

Gli effetti speciali poi sono molto più mastodontici e colossali, affrontare infatti colossi del genere, praticamente indistruttibili, deve dare una qualche risposta all’antico paradosso sulle masse indistruttibili che si scontrano e per farlo non può limitarsi a qualche camper rovesciato o qualche vetro rotto, ma deve comportare un notevole dispendio di risorse materiali e umane. della serie “non si può fare una frittata senza rompere qualche uova”. Una colonna sonora epica e, nel contesto, una confezione estremamente spettacolare, quasi da cartone animato.

Non ci si aspetti dunque il solito Superman, non sarebbe stato intelligente riproporci un reboot pedissequo, ma come si è già fatto con notevole successo con il cavaliere oscuro, si prova a dare una visione diversa della storia, un’interpretazione che anche qui viene anticipata dalla scelta di cambiare il titolo. Un’interpretazione del mito che espone in maniera più esplicita il suo riferimento a Cristo, adottato dagli uomini per salvare il mondo ma che dovrà vincere la diffidenza di colui che dovrà salvare, non con la forza ma con la fiducia.

Per fare questo si è voluto poi ricorrere ad un cast d’eccezione che comprende le partecipazioni di Kevin Costner e Russel Crowe, nel ruolo dei due padri del superuomo.
Non a livello del capolavoro di Nolan su Batman, dunque, ma comunque un film ben fatto

voto 7,5

sabato 15 giugno 2013

AFTER EARTH - M. Night Shyamalan

La paura non esiste, La paura non esiste, la paura non esiste...la paura esiste!"

No, non si tratta della recensione de "L'esorciccio" ma del nuovo film di “Sciamallà” "After Earth".
Il regista indiano oramai definibile come eterna promessa dopo gli exploit con "Il senso senso" e "The Unbreakable" si è ficcato (a parte l'interessante e poco capito The Village) in un vero e proprio vicolo cieco: il particolare ma irrisolto "Lady in the water", il noioso e malriuscito "E venne il giorno", il disastroso "L'ultimo dominatore dell'aria" (che non ho avuto il coraggio di vedere).

In questo caso si limita a dirigere (quindi abbiamo scansato il solito finale a sorpresa ultimamente sempre più inutile) Willy Smith e suo figlio in un film praticamente recitato solo da questi ultimi due.

domenica 9 giugno 2013

Sirens Blood Curse–Sony

Tempo fa su questo stesso blog pubblicammo la recensione di un titolo per ps2, Forbidden Siren, titolo molto amato da un certo tipo di videogiocatori e odiato da molti altri (io lo trovai a tratti detestabile e lo inserii in una particolare classifica dei videogiochi che più avevo odiato in assoluto).
Forbidden siren era un survival horror/stealth estremamente difficile, impegnativo, che metteva a dura prova i nervi, pieno di punti in cui andava calcolato al millimetro ogni movimento, dove bisognava studiare attentamente i movimenti del nemico, a volte stare ad osservarlo per molto tempo prima di muoversi perché una volta scelta questa opzione il rischio di essere scoperto significava rifare tutto da capo.
Se ci mettiamo che non adoro gli stealth, che la grafica (anche per una ps2) era abbastanza penosa, che i dialoghi in italiano sembravano usciti da un film di Fulci o di D'Amato, che la storia era molto interessante ma raccontata in uno stile "particolare" e assolutamente non canonico (con sbalzi temporali tra un capitolo e l'altro), che il sight-jacking (la possibilità di vedere con gli occhi dei nemici, ma senza la possibilità di capire dove erano, bisognava andare ad intuito) era un'idea interessante ma mi aveva innervosito non poco...
Tempo dopo fu pubblicato su ps3 il remake di quel capitolo, Siren Blood curse, titolo snobbato dai fan della saga, perché ritenuto "troppo facile" (la mania del gioco difficilissimo=bellissimo non l'ho mai capita, a me piacciono i giochi mediamente difficili ma non quelli frustranti e punitivi e Forbidden Siren lo era). Ma davvero è così, davvero il solo fatto che sia più facile di un gioco difficilissimo basta a definirlo come un capitolo minore della saga? Vediamo le principali differenza tra i due titoli
1) La difficoltà.
Il tasto dolente. Siren è più facile di Forbidden Siren, indubbiamente, ma questo è un male? E' vero che abbiamo in questo caso anche delle armi e dei mezzi per "ammazzare" (si fa per dire, non muoiono mai e rinvengono dopo un po') ma i nemici saranno comunque molto ostici nei tratti avanzati dell'avventura, negli ultimi capitoli i checkpoint scarseggeranno, sarà sempre più difficile capire cose fare e come raggiungere determinati punti, come superare silenziosamente i nemici, spesso questi saranno armati di fucile e noi di una semplice mazza.
Insomma magari per chi è riuscito nell'impresa di finire il primo capitolo della saga questo titolo sarà una sciocchezzuola (io non ci riuscii, ad un certo punto abbandonai), ma per chi non lo ha giocato sarà comuqnue un titolo godibile e abbastanza impegnativo: al confronto un Dead Space, per dire, si gioca da solo.
2) Il sight-jacking.
La sua importanza diminuisce, quasi sempre se ne può fare a meno e quando lo si usa è molto più utile: potremo vedere in split screen sia il nostro personaggio che il nemico e quindi renderci conto di dove più o meno si trova. Ciò porta indubbiamente una diminuzione della difficoltà ma anche a molti mal di testa di meno (vedere con il sight-jacking in Forbidden siren era una tortura).
3) il doppiaggio.
Per foruna l'italiano è stato fatto fuori per un inglese sottotitolato molto più gradevole
4) La grafica.
Non che sia una cosa importantissima in un gioco, ma la grafica di Forbidden Siren faceva pena. Questa di Blood curse è funzionale: non certo meravigliosa, il solito effetto granuloso alla Silent hill, ambientazioni molto buie per mascherare le pecche, ma non ci si può lamentare, su ps3 ho visto di peggio.
5) La storia.
Simile, ma non del tutto, è raccontata qui in maniera sequenziale (che schifo, gnè gnè), si ma anche così sfido a capirci qualcosa senza leggere tutti gli archivi (e trovarli tutti sarà estremamente arduo) e anche con l'ausilio di questi resteranno molti punti oscuri. La trama è raccontata in modo canonico ma è allo stesso modo appassionante e complicata, tanto che alcune cose riusciranno a sorprendere anche un videogiocatore cresciuto a pane e Silent Hill.
Il tutto poi è diviso in 12 capitoli (non comodissimi da scaricare e installare) con tanto di "nelle puntate precedenti" e di "nella prossima puntata" come un telefilm.
Insomma per quanto mi riguarda questo Siren blood curse è superiore all'originale (si, sono una brutta persona) in quasi tutto, magari lo si poteva rendere leggermente più ostico negli enigmi, i personaggi a tratti sono ingestibili, ci sono le classiche parti (rompipalle) in cui devi stare attento ad un personaggio non giocante (parti che odio in un videogame), ma fa il suo dovere.
Siren Blood Curse mette tensione, come i bei giochi di una volta (i primi Resident evil o i primi Silent Hill), ansia, a tratti risulta disturbante, ha una trama davvero interessante, insomma pur avendo parecchie pecche è forse l'unico vero survival horror vecchia maniera di questa generazione.
Peccato che lo abbiano giocato in pochi.
Voto 8--

venerdì 7 giugno 2013

UNA NOTTE DA LEONI 3 (The Hangover 3) - Todd Phillips

Ci sono saghe più o meno importanti, più o meno riuscite, più o meno divertenti. Di solito quando si sceglie di fare un sequel il motivo principale è il profitto più che la voglia di esplorare a fondo l'universo creato con il primo film, soprattutto se si tratta del genere commedia.

Una notte da leoni riscosse a sorpresa un enorme successo qualche anno fa, ciò non solo è imputabile al fatto che uscì in sordina e in un periodo di magra, ma anche all'ottima scelta del cast (un trio vario e ben affiatato) e a qualche idea che lo rendeva diverso dal solito filmetto comico.

L'idea maggiormente azzeccata fu quella di un addio al celibato nel quale i protagonisti si sballano (principalmente a loro insaputa) e poi il giorno dopo, del tutto ignari di quanto fatto la notte precedente si ritrovano in situazioni assurde in cerca di un modo per rimediare e ricordare.

Lo spunto quindi, per quanto non originalissimo o esaltante, era un ottimo modo per permettere al film di trasformarsi in una specie di caccia al tesoro esagerata e folle.

Il sequel si rivelò un film abbastanza divertente, ma probabilmente lo era perché si limitava a riprendere in toto la trama e le situazioni del primo e ripeterle pedissequamente con qualche limatura qua e là.

Una notte da leoni 3 sceglie coraggiosamente di chiudere la saga in modo totalmente diverso. Sia lo spunto di partenza (Nessun dopo sbornia) che l'intreccio sono molto differenti da quelli precedenti: qui non si va alla ricerca della memoria perduta ma si viaggia attraverso l'America in compagnia di un personaggio sopra le righe che mette nei pasticci gli altri. Un classico road movie insomma, alla Parto col Folle, dove l'ilarità scaturisce dalle battute (non sempre azzeccate) più che dalle situazioni.

Se nei film precedenti i 3 protagonisti erano tutti sullo stesso piano, qui tutto è incentrato su Alan e sulle doti comiche del sempre bravo Zack Galifianakis, laddove soltanto Ken Jeon riesce a tenergli testa, gli altri appaiono in secondo piano, messi in disparte.

Ecco che quindi soltanto la scena dopo i titoli di coda torna ad avere l'essenza di quelli che erano i film precedenti: incredulità, follia e confusione e a conti fatti vale tutto il film.

Un film a tratti divertente ma molto più "ordinario" e "classico". Forse si poteva chiudere la saga in modo diverso.

Voto 6-

sabato 1 giugno 2013

SOLO DIO PERDONA (Only God Forgives) - di Nicolas Winding Refn

Dopo l'exploit di Drive, Nicolas Winding Refn e Ryan Gosling tornano a lavorare assieme e le premesse per il capolavoro ci sono tutte: regista dotato e protagonista carismatico, atmosfere oscure, violenza (a tratti splatter), ambientazioni curate e particolari, musiche perfette. Invece non tutto purtroppo fila per il verso giusto. Pur dimenticandosi di Drive ed evitando qualsiasi paragone, Solo Dio perdona è sostanzialmente come una bella confezione vuota.

Se le musiche e l'atmosfera generale sono perfette, lo stesso non si può dire del resto.

La trama è appena abbozzata, il che non sarebbe del tutto un male se i personaggi avessero una caratterizzazione eccellente o se i dialoghi avessero qualcosa di memorabile (azzeccata l'idea di ridurli al minimo, ma quando sono presenti sono piuttosto banali e poco memorabili), purtroppo non è così.