martedì 7 aprile 2015

Steve Hackett - WOLFLIGHT

© 30 Marzo 2015

A quattro anni di distanza da Beyond The Shrouded Horizon, l'ex chitarrista dei Genesis torna con un album di inediti. Messo da parte (momentaneamente?) il progetto col quale ha ripreso con successo il repertorio del suo ex gruppo è tornato a rituffarsi nella sua carriera solista, con un concept album intitolato Wolflight.

Già guardando la particolare copertina (nella quale è circondato da veri lupi dei dintorni di Roma, sotto un cielo minaccioso) si possono intuire le sonorità che poi si ascolteranno nell'album: Wolflight è infatti un concept nel quale una trama sottile avvolge e attraversa tutte le canzoni, il viaggio e il cambiamento. Steve attraverso la sua musica ci invita a seguirlo verso lo spazio (l'antica Grecia di Corycian Fire, l'atmosfera del medioriente di Dust and Dreams...) e il tempo (melodie e strumenti che sanno d'antico e inusuale nel rock moderno), mostrandoci gli estremi che da sempre hanno contraddistinto l'umanità: l'amore e la costrizione, il bisogno di libertà e l'oppressione, l'antitesi tra luce ed oscurità...
Non un album banale insomma, a tratti anche molto triste ed "oscuro", ma che ha i suoi momenti di luce e di pace, come la vita, che ci costringe a cambiare e ad adattarci e a scoprire cose nuove (Steve ha affermato che lo spunto di partenza sono stati i numerosi viaggi che ha compiuto in questi anni).

Il viaggio comincia con un'introduzione di un paio di minuti (di stampo rock sinfonico) che ci conduce alla title track, un brano dalla doppia faccia: dolce e solare nelle strofe, potente e oscuro nel refrain. L'acustico e l'elettico convivono, si scontrano, per poi lasciarsi spazio a vicenda fino ad un assolo di chitarra elettrica in puro stile hackettiano che conduce ad un finale elettrico e sinfonico (voto 9).


Non c'è tempo di rifiatare perche subito dopo l'ottima partenza ci ritroviamo nelle atmosfere tristi ed oscure di "Love song to a Vampire", il pezzo più lungo (e il migliore) dell'album. Il cantato è malinconico così come il testo (che parla di un amore che sfocia in violenza domestica), un crescendo conduce ad un refrain di stampo sinfonico (che porta alla mente i King Crimson) e ad un ottimo assolo di chitarra elettrica nella parte centrale. Proprio quando sembra che il pezzo stia per finire veniamo invece accolti da un riff che ci lascia ad una sezione  epica finale. Un pezzo ideato ed eseguito davvero in maniera impeccabile (voto 10).



Dopo la tristezza del brano precedente il viaggio ci conduce alla strana e particolare "The wheel's turning" forse il pezzo più mutevole del disco, dalla sua introduzione che ci rimanda a sonorità da Luna Park, al cantato solare e misterioso allo stesso tempo. La parte centrale è costituita da riff di stampo tipicamente rock con una sezione simile a "The air conditioned nightmare".  Un pezzo insomma piuttosto vario, gradevole, forse non tra le cose migliori in assoluto dell'album ma di sicuro offre ottimi spunti (voto 7,5).


"Coryician Fire" ci conduce verso l'antica Grecia, con sonorità esotiche e sinfoniche allo stesso tempo: dopo una prima dolce parte cantata si assiste ad un crescendo (alla Kashmir) con percussioni insistenti contornate da assoli di chitarra elettrica. Il finale è di stampo prettamente sinfonico con cori davvero suggestivi e che per certi versi rimandano ad alcune composizioni di Peter Gabriel (voto 8,5).

"Earthshine" appare un momento di pace e di rilassatezza dopo quello che è venuto prima, il classico bozzetto acustico alla Hackett, molto gradevole (voto 7). 

La "calma" continua con la seguente, breve, "Loving Sea". Il cantato solare rimanda agli Yes, il ritornello è gradevole e si lascia ascoltare (6,5).

Con "Black thunder" si torna al rock o più precisamente al blues-rock, anche se in questo caso il brano è piuttosto diverso dai classici pezzi di questo tipo presenti negli album precedenti di Hackett. Le parti vocali sono molto curate, i riff sono riusciti e intriganti, c'è un bel cresendo nella parte finale, con inserti di sax e armonica. Un brano fatto di stacchi e schitarrate potenti insomma, il più rock del disco (voto 8).

"Dust and dreams" ci riporta a sonorità esotiche, in uno strumentale che dopo una prima parte preparatoria ci conduce a un crescendo magnifico che confluisce in un assolo di chitarra elettrica ispiratissimo, davvero niente male (voto 8,5).

Il viaggio giunge al termine sulle note di "Heart song", pezzo leggero e rilassato che risulta piacevole seppur non esaltante (voto 6).

Nell'edizione speciale sono presenti due brani inediti, la superflua "Pneuma" e l'ottima "Midnight Sun" che vede il nostro collaborare con Thorvaldur dei Todmobile in un pezzo efficace e "moderno", nel quale si respirano le atmosfere dell'Islanda.

Insomma questo Wolflight è un album vario, pieno di sapori, di atmosfere contrastanti, meno omogeneo del precedente e anche meno "facile" eppure a tratti più affascinante: possiede perle di grande pregio ma anche qualche pezzo inferiore agli altri. Gli assoli di chitarra seppur non lunghissimi sono tutti di qualità, le parti vocali sono ben gestite dal nostro (che non ha certo una voce fenomenale), per certi versi l'album ha più affinità con Out of the tunnel's mouth che col precedente, pur risultando più riuscito.
In definitiva l'ennesima sorpresa da un musicista che non finisce di stupire per prolificità e qualità.


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