martedì 16 giugno 2015

Retrospettiva Steve Hackett - parte 1 (1975-1980)

Quest'anno ricorre il quarantennale di Voyage of the Acolyte, primo album della discografia di Steve Hackett. Un occasione per ripercorrere le tappe della lunga carriera solista dell'ex chitarrista dei Genesis, spesso un po' sottovalutata.


Voyage of the Acolyte (1975) *****
Il primo album da solista di Hackett in realtà può essere quasi considerato un disco "parallelo" dei Genesis. Le sonorità sono molto simili a quelle che ascolteremo nei due dischi successivi del gruppo e, soprattutto, tra i musicisti figurano Phil Collins alla batteria e alla voce e Mike Rutherford al basso (che compone anche a 4 mani col chitarrista "Shadow of the Hierophant"). In pratica Voyage of the Acolyte suona come sarebbero potuti suonare i Genesis senza Tony Banks, risultando sorprendentemente un disco meraviglioso (Banks rappresenta nella storia dei Genesis il vero punto cardine, apparentemente imprescindibile).
Inutile citare un brano sugli altri visto che il disco non ha punti deboli: dalla lunga e crimsoniana Shadow of the Hierophant (con un crescendo che trasforma il brano da pastorale a quasi hard prog) che vede alla voce Sally Oldfield (sorella del più noto Mike), "Star of sirius" con i suoi saliscendi (cantata da Collins), la pastorale "The hermit", il sognante strumentale "Hands of the Priestess" diviso in due parti. Forse il pezzo più famoso del disco però finirà per essere la "Ace of Wands", uno strumentale pieno di cambiamenti di ritmo e d'atmosfera, che mette in luce tutte le qualità del chitarrista.

Canzoni migliori: tutte
Canzoni peggiori: nessuna


Please don't touch (1978) ***+
Il primo album fuori dai Genesis è piuttosto "strano": quasi a volersi distaccare dal genere musicale della sua ex band, Hackett prova ad esplorare territori musicali diversi. I pezzi risultano più brevi e meno complessi e alla voce si alternano guest star di ottima levatura (Steve Walsh dei Kansas, Randy Crawford, Richie Havens). Il risultato è un album affascinante ma poco omogeneo, che contiene ottime cose (la title track, "How Can I" e "Icarus Ascending") ed altri episodi piuttosto anonimi ("Racing in A") o troppo lontani dallo stile del chitarrista (il soul di "Hoping Love Will Last").
A tratti il tutto sembra un minestrone con pietanze molto buone ed altre che c'entrano poco, l'avvicendarsi dei vari cantanti non aiuta l'omogeneità.
Probabilmente il brano più vicino al passato risulta la solare "Narnia".

Canzoni migliori: Narnia, Please Don't Touch, Icarus Ascending, How Can I?
Canzoni peggiori: Hoping Love Will Last, Carry on Up the Vicarage


Spectral Mornings (1979) *****
Rispetto al precedente, l'album è suonato dai musicisti che in quel momento accompagnavano Hackett dal vivo e la differenza si sente: il disco è molto più compatto, con un'atmosfera tutta particolare e sognante, ricorda per certi versi Voyage of the Acolyte ma con meno rimandi al sound genesisiano. Steve ha più consapevolezza di se e riesce a comporre dei pezzi che ne mettono in risalto la tecnica e il gusto melodico: "Every day" col suo lungo assolo di chitarra elettrica finale sarà forse il brano dell'Hackett solista più immediatamente riconoscibile, "Spectral Mornings" è un magico e a tratti rarefatto strumentale, "The Virgin and the Gypsy" è una delicata ballata impreziosita dall'ottimo cantato di Peter Hicks (voce principale in quasi tutti i brani), l'oscura e cinematografica Tigermoth inquieta e poi si apre verso un finale acustico e misterioso, "The Red Flower of Tachai Blooms Everywhere" con le sue arie orientali è un delicato intermezzo...
Tutto insomma è di ottimo livello, forse la bizzarra "The Ballad of the Decomposing Man" (cantata dallo stesso Hackett) risulta un po' fuori posto, ma se non altro è divertente.

Canzoni migliori: Every Day, The Virgin and the Gypsy, The Red Flower of Tachai Blooms Everywhere, Tigermoth, Spectral Mornings
Canzoni peggiori: The Ballad of the Decomposing Man


Defector (1980) ****
I musicisti sono gli stessi dell'album precedente e anche il sound risulta invariato,tuttavia risulta meno "magico" di Spectral mornings. I pezzi per quanto affascinanti risultano più brevi e canonici. Siamo comunque al cospetto di un album composto e suonato ottimamente, con ancora meno rimandi ai Genesis e anzi con assonanze piuttosto palesi con i King Crimson.
Ancora una volta gli strumentali risultano di gran gusto (Jacuzzi, la splendida e classicheggiante "Hammer in the Sand", l'epica e potente "The Steppes", la strana "Slogans"). I brani cantati risultano invece meno riusciti ma quasi tutti piacevoli: The show strizza forse troppo l'occhio alla discomusic, "Sentimental Institution" ricorda un po' un brano dei primi anni del novecento, Time to Get out porta alla mente le armonie degli Yes. C'è spazio per due brevi "perle": la solare e rilassata "The Toast" e la malinconica "Leaving"

Canzoni migliori: The Steppes, Leaving, Jacuzzi, Hammer in the Sand, The Toast
Canzoni peggiori: Sentimental Institution

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