giovedì 30 marzo 2017

Steve Hackett - THE NIGHT SIREN

Viviamo tempi difficili: odio, guerre (ideologiche o reali), muri, incapacita' di comunicare con gli altri...Il mondo sembra sul punto di un cambiamento epocale che portera' a ripercussioni difficilmente prevedibili. In questo clima di incertezza e' normale che anche la musica finisca per restarci intrappolata ed esserne influenzata, a maggior ragione se si tratta di artisti sensibili e con molte cose da dire. Uno di questi e' sicuramente Steve Hackett, che alla bellezza di sessantasette primavere se ne esce con un album coraggioso, particolare, che non ha paura di affrontare temi scomodi. The Night Siren, questo il titolo, una sirena che risuona nella notte per risvegliare le coscienze e chiederci di smuoverci e di fare attenzione a tutto quello che sta accadendo in questi tempi.


Sono passati soltanto 2 anni dal precedente Wolflight e, sebbene le influenze siano a tratti simili, Steve ci regala stavolta un lavoro a tratti più etnico e più pop, non senza rinunciare però ai rimandi al prog che tanto gli ha dato nel corso della sua carriera.

L'iniziale Behind the Smoke non a caso richiama proprio le opener degli album precedenti, tipo "Loch Lomond" o la stessa "Wolflight": potente, epica, con un riff insistente che si ripete per quasi tutto il brano (stavolta più "esotico"), a tratti si sfocia nel prog metal e per certi versi c'è una certa affinità con Kashmir dei Led Zeppelin. Nel finale Steve ci regala un assolo di chitarra molto classico (con anche una citazione di Wolfwork, citazioni che si trovano spesso negli ultimi lavori del chitarrista). Niente male insomma come apertura del disco (voto 8,5)



Dopo un inizio oscuro, Martian Sea e' invece, almeno nella sua prima parte, di tutt'altro tenore: piuttosto arioso e solare, anche il cantato conferisce al pezzo un aria pop inusuale negli ultimi album del nostro. Gli assoli di chitarra sono veloci e piu' immediati. La batteria (di Nick D'Virgilio) e' molto presente e anzi nel finale si prende la scena assieme alla chitarra che dipinge scenari orientaleggianti, supportata da altri strumenti (il sitar ad esempio) che conducono il pezzo su sonorita' "world" fino al suo sfumare. (voto 7)

Dopo un intermezzo piu' solare, Fifty Miles From the North Pole sembra mantenere lo stesso umore pop rock: il basso pulsante e il cantato sembrano addirittura rimandare ad alcune cose dei The Church. Dopo 2 minuti pero' l'atmosfera del pezzo cambia: cori femminili preannunciano una potente scarica di schitarrate sostenute da un incedere ritmico marziale e ossessivo. Ad un certo punto si aggiungono anche i fiati ma e' ancora la chitarra elettrica a condurci verso un finale con un assolo meno oscuro e piu'  lineare. Forse il pezzo piu' particolare e vario del disco, nasconde sia un anima pop che una molto rock e le amalgama insaporendo il tutto con incursioni "mediorientali" (voto 8+).
El Nino e' uno strumentale di poco meno di 4 minuti: preponderante e' la sezione ritmica, a sostegno di un Hackett in grandissima forma alla chitarra elettrica, che si produce in assoli molto epici e veloci. L'atmosfera resta sempre tesa mentre l'ascoltatore viene bombardato da questo insieme di raffiche elettriche: sembra di essere proprio al centro di una bufera in atto. Nella seconda parte si aggiungono sonorita' piu' orchestrali e c'è anche spazio per una citazione di "Please don't touch" (voto 8).




Dopo la furia di EL Nino, Other side of the wall si apre con la chitarra delicata di Steve, questa lo accompagna mentre un cantato dolce e sognante (e che ricorda leggermente Taking the Easy Way Out", da Till we have faces) costituisce l'ossatura del pezzo. Davvero un pezzo gradevole che, anche se leggero, dipinge atmosfere piacevolissime (voto 8).
Anything but love entra (inaspettatamente) con sonorita' latineggianti, spagnole per la precisione, si apre poi diventando un pezzo pop molto orecchiabile, simil anni 80' (con tanto di coretti), con vaghi rimandi a "Don't Fear the Reaper" dei Blue Oyster Cult. Un assolo di armonica ci conduce ad una seconda parte dove si susseguono senza sosta assoli di chitarra veloci e taglienti, forse troppo insistiti, che appesantiscono in parte il brano fino ad un finale dove torna la voce di Steve prima della chiusura. In definitiva una composizione piuttosto particolare anche se forse non completaente riuscita (voto 7,5)

Inca Terra presenta fin dall'inizio un cantato molto corale  (ad un certo punto si sente fortissima l'influenza degli Yes) che ci conduce verso atmosfere esotiche e davvero gustose, poi si torna su sonorita' piu' classiche con la chitarra in primo piano, ma e' solo per poco tempo, subito parte una sezione piu' movimentata (con percussioni in primo piano e atmosfere etniche) che riprende l'inizio del pezzo e ci conduce alla chiusura del brano. Pezzo davvero notevole, probabilmente uno dei più risuciti dell'album (voto 8,5).
In Another Life e' ancora una volta aperta da sonorita' esotiche. Le atmosfere però sono rilassate e le sonorita' molto gradevoli, leggere ma non stucchevoli. Il brano viene spezzato a meta' da un assolo di chitarra lineare e gradevolissimo. Sul finale entrano i fiati a dipingere scenari malinconici e di grande atmosfera. Steve con questo pezzo dimostra che si può essere immediati ma non banali allo stesso tempo (voto 8).




In The Skeleton Gallery e' scandita da un incedere cadenzato ancora una volta orientaleggiante, ma il cantato stavolta e' meno oscuro, supportato anche da controcanti femminili. Ancora una volta un potente riff chitarristico conduce a sonororita' piu' metalliche e potenti fino alla conclusione del brano. L'originalità non è il forte del pezzo, ma questa mancanza è compensata dalla sua epicità e dal consueto mestiere del chitarrista (voto 8-)
West to East ci riporta invece ad atmosfere piu' rilassate, ma stavolta piu' malinconiche, per un brano piu' classico e molto gradevole. Di fatto ci troviamo di fronte ad una composizione sostanzialmente pop, ma molto raffinata. Il ritornello è ben costruito ed il tappeto di tastiere è molto molto gradevole. Un pezzo che parla di pace e di speranza (voto 9).

The Gift  (voto 10) e' un breve strumentale, un delicato assolo alla chitarra elettrica che costituisce la chiusura dell'album e che e' una perfetta continuazione del pezzo precedente. Il dono finale di un album pieno di sapori particolari, non perfetto ma affascinante, che ci consegna un Hackett in ottimo stato di forma e con tante cose ancora da dire. Un album, diversamente dalle attese, non così simile al precedente: nessun pezzo lunghissimo o epico, tanti tasselli di media durata che formano un puzzle vario e ben ideato. Non c'è forse il capolavoro dei capolavori ma non ci sono nemmeno cadute di stile, tutto è ben amalgamato, nonostante l'album affronti tematiche e stili musicali piuttosto diversi. Non e' sicuramente il miglior album della sua carriera, come ha scritto qualcuno, ma certamente è un lavoro che conferma la grande creatività e la bravura di un mostro sacro del rock che continua a voler stupire.

Voto 8,5


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